8 novembre 2013

Mon nom est Rouge, un sorso d'Oriente.

Rosso Plastica - Alberto Burri (1964)
Come messaggi in bottiglia, le emozioni che un creatore riesce ad esprimere in un profumo, arrivano forti e chiare a chi le sa cogliere. Intenso, così ho sentito Mon nom est Rouge al primo sniffo. Ho intuito subito che voleva parlarmi di un sentimento viscerale, forte, ma per capirlo fino in fondo sono andato a leggermi il bel romanzo del premio Nobel turco Orhan Pahmuk che ha ispirato Majda Bekkali. Pahmuk disegna un arazzo fitto, in cui ogni personaggio è come un filo di colore diverso che racconta il suo punto di vista della storia, quella di un omicidio. Le vere protagoniste però sono l'arte e la cultura islamica che si scontrano e si fondono a quelle occidentali. Parigina di origini nordafricane, Majda racconta che quelle pagine l'hanno toccata profondamente riportandola alle sue radici, così ha pensato di tradurle in un profumo. Forse per questo sentito comune in bilico fra oriente ed occidente Majda ha scelto di sviluppare con Cécile Zarokian la sua idea.

Quando ho provato per la prima volta Mon nom est Rouge, ero in compagnia di Majda e Cécile e ciò che mi ha colpito subito oltre a un sillage pazzesco, è stato un aroma familiare che non ho riconosciuto subito. Il bello del profumo è anche questo: a ciascuno racconta una storia intima e quindi unica. Mentre cerco di capire cos'è questo sentore familiare, Cécile mi spiega che ha usato le spezie per rendere l'idea del rosso e dell'oriente e che l'arancia che sento è data da una buona dose di elemì, una resina potente che mi piace per il suo tono pepato discreto e per la texture che mi fa sempre pensare alla linfa bianca e colloidale di certe piante. Distinguo chiaramente l'aspetto medicinale della cannella, il pepe rosa e il cardamomo mentre avverto appena la rosa turca solo grazie ai bagliori metallici che emana così surdosata di geraniolo. Il tono minerale dell'aldeide C12 MNA in testa però preannuncia già che la trama di questo arazzo si stringerà con un pizzico di crudeltà nei nodi fitti d'incenso e cashmeran avvolti da una nuvola tabaccata e animale vagamente retrò.


Coppia al Tabarin - M. Dudovic (1901)
Ad un tratto eureka! Ecco il tono familiare, la sferzata iniziale agrumato-aromatica così rinvigorante, rossa di passione è il Campari! Ho capito il motivo per cui mi ricordava il Campari solo settimane dopo visitando una mostra sulla storia del Made in Italy. Gli ingredienti della ricetta originale di Gaspare Campari (1860) erano tutti li sotto al mio naso: il dittamo dal profumo agrumato, la cannella e la rosa, l' artemisia tagliente ed aromatica e l'amarezza balsamica della quassia. Finalmente potevo assolvere il mio naso. La similitudine non è poi così azzardata se si pensa che anticamente chi preparava distillati spesso confezionava pasticche, tonici, veleni e colonie. Purtroppo Cécile mi ha detto che non ha mai assaggiato un Campari così ho promesso di rimediare alla prossima occasione, brindando al vigore che questo sorso d'oriente mi regala ogni volta.

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